Se voleste una risposta attendibile o, quantomeno, verosimile, sappiate che non c’è. Per lo meno non nel mio caso. Vi dirò, però, che ci sono mille circostanze in grado di farti amare visceralmente questo sport, vera e sincera scuola di vita.
Che poi, a pensarci bene, fatica e privilegio sono spesso due facce della stessa medaglia. E no, la mia non è un’interpretazione fantasiosa o una forzatura, perché solo chi è sceso in campo sul rettangolo di gioco o chi ne è realmente appassionato può capire cosa intendo. Siamo in molti, diciamoci la verità.
Personalmente amo il rugby perché, giusto per fare degli esempi, alzarsi alle tre di domenica mattina, magari dopo aver fatto serata, per recarsi a giocare in Sardegna, e magari prendere una valanga di botte e punti (oltre all’aereo che ti porta e ti riporta) è un’esperienza che solo chi l’ha provata vorrebbe ripeterla decine e decine di volte. Il punteggio è importante, siamo pur sempre degli sportivi, ma il contesto nel quale si sviluppa è in grado di restare negli occhi e nel cuore per tutta la vita.
Ho avuto il privilegio di condividere tutto questo con amici, veri “fratelli” di una vita, a dire il vero. Adoro la palla ovale e tutto ciò che si porta dietro sì, forse perché le trasferte in pullman che ti portano a scoprire posti e location a volte improbabili erano e sono tutt’ora una festa, un rito che iniziava il sabato sera con la preparazione del borsone, con la pulizia degli scarpini, con il cambio dei tacchetti, con il pranzo al sacco che, come menù, prevedeva i panini rigorosamente farciti con la frittata (all’epoca ci chiamavano “Ragazzi pane e frittata”).
Tutto questo senza tralasciare l’attesa dei soliti ritardatari che ti strappava un’infinità di battute ma anche di improperi per il tempo che si stava perdendo. All’allenatore e agli accompagnatori saliva il sangue alla testa, ma a noi compagni di squadra la cosa scatenava fantasie sui peggiori dispetti per il malcapitato di turno. E poi la partenza, tra i momenti più attesi, con l’immancabile intonazione di “Evviva Maria”. L’adrenalina saliva a mille e, a quel punto, si entrava in pieno clima partita.
Del rugby amo tanto e tutto, e non c’è un elenco di preferenze da esibire.
L’atmosfera dello spogliatoio che si porta dietro i suoi riti scaramantici, la tensione pre partita, la lettura delle formazioni e l’arbitro che ti ricorda il regolamento da rispettare: tutti tasselli di un percorso che culmina con il drop d’inizio del match. Quel calcio lì, di rimbalzo a metà campo verso la l’area di gioco avversaria è l’epilogo di quanto sopra detto e l’inizio di ottanta minuti in un cui il mondo si ferma e ci si concentra esclusivamente su come portare a casa la vittoria.
Il rugby è emotivamente una scuola che ti tempra ad affrontare la vita. E di ciò, come di altre connessioni verso questo fantastico sport che una volta che ti rapisce non ti lascia più, ne parleremo nel corso dei prossimi appuntamenti all’interno di questo blog. Forse mi ripeto, ma lo dico uguale: mi sento un privilegiato. Ho la fortuna di vivere da oltre quarant’anni in questa bolla di fantastica “follia”. Sono tutte circostanze che mi fanno amare il rugby perché per amare, spesso, non serve un reale o concreto motivo. Si ama e basta, senza troppi pensieri.
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Grande Lamberto , grazie per il bellissimo articolo
Grazie mille Marco
Vi ringrazio di cuore per aver riportato nel vostro sito il mio blog