Il rugby, nel suo essere speciale, ha centinaia di termini che identificano azioni, fasi di gioco, gesti atletici, riti scaramantici, eventi post e pre-partita. Per gli addetti ai lavori questo gergo è di uso comune, ci rivolgeremo quindi, con un mini glossario, ai neofiti ed a quella fetta di pubblico che, avvicinatosi da poco alla nostra disciplina, vuole conoscere a tutto tondo quella terminologia in uso nel mondo della palla ovale.
Innanzitutto, perché si chiama rugby?
Rugby è la città inglese in cui nacque tutto nel 1823. Durante una partita di calcio, William Webb Ellis prese il pallone con le mani e iniziò a correre in avanti verso la porta, sovvertendo le regole del calcio e dando così vita al rugby.
Partiamo da qualche termine strettamente tecnico:
Meta: è il modo più importante per segnare punti e si marca schiacciando il pallone nell’area di meta della squadra avversaria;
Mischia: la mischia chiusa o mischia ordinata è una situazione di gioco che si crea per ordine dell’arbitro con la quale riprendere il gioco quando è stato interrotto per qualche irregolarità;
Touche: consiste nella rimessa in gioco della palla dal punto, lungo la linea laterale, in cui l’ovale era precedentemente uscito. La rimessa spetta alla squadra che non ha causato l’uscita della palla;
Ruck: situazione di gioco che si crea quando uno o più giocatori avversari si trovano a contatto l’uno contro l’altro per contendersi il pallone a terra, con i compagni di squadra legati almeno tramite un braccio;
Drop: è una delle azioni che frutta punti e si segna in una situazione di gioco aperto, calciando il pallone dopo averlo lasciato rimbalzare sul suolo e facendolo passare in mezzo ai pali e al di sopra della traversa. Si utilizza anche nella ripresa del gioco dopo una meta;
Calcio di punizione: sono accordati dall’arbitro alla squadra che ha subito un fallo per le infrazioni degli avversari e può fruttare punti piazzandolo nel punto in cui è avvenuta l’infrazione e calciandolo in mezzo ai pali al di sopra della traversa;
Placcaggio: consiste in un’azione, effettuata da uno o più giocatori, volta a fermare l’avanzamento dell’avversario che in quel momento è in possesso di palla;
Avanzamento: il principio fondamentale del rugby. Guadagnare terreno rispetto all’avversario che difende;
Sostegno: uno dei principi fondamentali di questa disciplina, comporta la vicinanza al compagno per ricevere il pallone o aiutarlo in un raggruppamento;
Giocate: lanci di gioco, precedentemente studiati, tesi a creare il vantaggio rispetto alla difesa avversaria ed andare in meta. Normalmente hanno dei nomi prestabiliti, noi ad esempio avevamo la “Marsica” la “Touquiri” la “Niente” la “Xniypsilon”;
Avanti: giocatori con i numeri da 1 a 8 sulle spalle. A loro detta la vera spina dorsale della squadra rispetto ai Trequarti “accusati” di non sporcarsi la maglia e tantomeno sudare. In effetti a carico degli avanti c’è il famoso “lavoro sporco”;
Trequarti: sono quei giocatori che hanno sulle spalle i numeri da 9 a15 e sono responsabili di finalizzare il gioco realizzando la meta.
Questi sono tra i principali termini di uso più comune. Ci sono poi delle espressioni, neologismi coniati da commentatori sportivi fantasiosi, del tipo:
Grillotalpa: non è altro che un cacciatore di palloni, quel giocatore che più di tutti mette braccia e testa nelle ruck per recuperare palloni agli avversari;
Ball carrier: è colui il quale guadagna più metri palla in mano;
Off load: è l’azione tesa a dare continuità al gioco, attraverso un passaggio effettuato dopo un placcaggio;
Ascensore: in rimessa laterale è il modo in cui due giocatori ne sollevano un terzo per fargli raggiungere l’altezza maggiore possibile e conquistare così il pallone;
Importante conoscere anche i ruoli
Pilone: numero 1 e 3, prima linea, hanno lo scomodo e faticoso compito di sorreggere e spingere nelle fasi di gioco chiuso (mischia chiusa o ordinata);
Tallonatore: numero 2, prima linea, oltre a sorreggere la mischia con i piloni ha il delicato compito di lanciare la palla in touche, quindi nella mischia ordinata ha il compito di vincere l’ingaggio con il suo omonimo della squadra avversaria;
Seconde linee: numero 4 e 5, sono normalmente i giocatori più alti di statura e prestanti, hanno tra gli altri il compito di vincere la touche;
Terze linea ala flanker: numeri 6 e 7, l’incubo di chi attacca e spesso di chi difende;
Terza linea centro: numero 8, normalmente il più carismatico degli avanti, colui che spesso organizza le giocate in touche e detta i tempi di gioco della mischia;
Mediano di mischia: numero 9, è il trait d’union tra la mischia e i trequarti, colui il quale smista i palloni conquistati. Un “fastidioso folletto”, una vera e propria spina nel fianco delle squadre avversarie, sempre pronto al disturbo della costruzione del gioco un “guastatore” però utilissimo ed indispensabile nell’economia della partita;
Mediano d’apertura: numero 10, il più talentoso della squadra si occupa del gioco al piede e strategicamente decide le giocate;
Centri n.12 e 13 fisicamente prestanti in attacco utilizzati come “apriscatole” delle linee di difesa avversaria.
In difesa sono la linea “Maginot” contro gli “assalti” avversari.
Ali: numero 11 e 14, normalmente sono i giocatori più veloci della squadra e finalizzano il gioco d’attacco. Negli ultimi vent’anni si sono viste ali con caratteristiche fisiche monumentali, che hanno avuto come prototipo Jonah Lomu;
Estremo: numero 15, spesso ultimo baluardo della difesa e sovente uomo in più in attacco.
Fondamentale conoscere anche la suddivisione del campo da gioco
Il terreno di gioco è così diviso:
Linea di centrocampo che suddivide il campo in due uguali metà
Linea dei 10 metri
Linea dei 22 metri
Linea dei 5 metri
Linea di meta
Linea di pallone morto
Poi sulle fasce laterali troviamo
Linea dei 5 metri
Linea dei 15 metri,
Che delimitano lo spazio in cui le squadre si debbono schierare nella fase di gioco della touche.
In casa Avezzano Rugby si svolgono dei riti scaramantici pre partita e il più caratteristico ed emotivamente coinvolgente è il rito dello spogliatoio: un luogo sacro, una cattedrale, quasi mai accogliente, spesso freddo. Panche scomode e scricchiolanti, luci basse a volte non funzionanti, ma pur sempre un luogo che suscita mille emozioni.
Riti scaramantici che si susseguono
Cerchi sempre lo stesso posto, magari vicino sempre allo stesso compagno “fratello”. Le essenze piacevoli delle pomate miracolose, degli unguenti ed olii riscaldanti. Le fasciature, metri e metri di cerotto e bende, che ti daranno l’effimera certezza che quel ginocchio, quella caviglia, quella mano, così protette, non ti daranno mai dolore, anzi ti renderanno invincibile. La vestizione sempre nello stesso ordine cronologico: costume, maglia della salute (ai miei tempi) oggi termica, corpetto, calzoncini, calzerotti e scarpini.
La divisa di gioco si indossa poco prima dell’ingresso in campo, perché la “corazza da supereroe“ dev’essere impeccabile in quanto primo simbolo del senso di appartenenza, maglia che, come insegnano gli All Blacks, si prende in prestito quindi va custodita e riconsegnata nel miglior modo possibile. Cerchi e trovi nei tuoi “fratelli” gli “occhi della tigre”, certo che non sarai mai lasciato in balia del “nemico” e che troverai sempre il loro sostegno.
Quindi l’apoteosi dell’ingresso in campo, il suono magico, la sinfonia dei tacchetti sul pavimento, quasi ad accompagnare la marcia di un esercito che si accinge alla “battaglia”. Non puoi sapere l’esito della sfida ma sei certo che, comunque vada, avrai dato tutto te stesso per la maglia che hai la fortuna ed il privilegio di indossare. Non cercate queste parole in libri, testi o altra letteratura perché sono dettate solo dallo smodato amore che ho per il rugby.
Altro rito scaramantico è il così detto “Morzone”; consiste nell’abbraccio collettivo della squadra, negli istanti prima della partita, nella propria metà campo. Si crea questo cerchio molto fitto e stretto, da qui appunto Morzone, con il capitano al centro che detta le ultime raccomandazioni motivazionali ai propri giocatori… da brividi!
Altro rito dei nostri tempi era intonare la canzone “Briganti se more”, un canto popolare che identifica nell’accezione buona il nostro spirito combattivo con quello dei briganti, pezzo emotivamente trasmessoci dall’allora coach Alberto Santucci. Questo canto si intonava in situazioni emotivamente particolari, non vorrei fare paragoni scomodi, ma era un po’ la nostra HAKA.
Chiudiamo rassegna con il celeberrimo “Terzo tempo” che consiste nel tradizionale incontro dopo gara tra i giocatori delle due squadre, davanti a una birra ed un buon piatto di pasta. Considerato un momento di aggregazione e socializzazione si svolge nella club house della società ospitante.
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Una risposta a “Il gergo del rugby”